Bigenitorialità e tutela dei minori.

Riguardo al primo punto, dopo anni ed anni di “finto condiviso”, in cui la vera condivisione rimaneva nelle carte, mentre la suddivisione dei tempi era la stessa che vigeva con il vecchio esclusivo, da pochi anni, almeno nei Tribunali della Romagna, è più frequente il rispetto di una vera alternanza, che si concretizza anche nel collocamento alternato, che porta tutta una serie di benefici, primo fra tutti la sedazione di quei conflitti genitoriali che hanno il loro fulcro nella presunta supremazia di un genitore, quello che vive con i figli, rispetto all’altro.

Riguardo al secondo, è sempre più frequente che, in virtù di un’applicazione quasi aprioristica del condiviso, si trascuri la salvaguardia dei figli, costretti, in qualche misura, a frequentare assiduamente un genitore che presenta macroscopiche difficoltà nell’espletamento della sua funzione parentale e che, quindi, crea difficoltà nei minori.

Escluse le situazioni di patologia grave e conclamata o di condotte palesemente antisociali, che sanciscono l’applicazione di un affidamento esclusivo, ormai piuttosto raro, rimane, tuttavia, tutta una serie di situazioni “borderline” di genitori con disturbi della personalità, non così gravi ed invalidanti da inficiarne il funzionamento globale, ma tali da compromettere il buon espletamento della genitorialità, non tanto e non solo nell’accudimento o nelle incombenze quotidiane, ma nella capacità di empatizzare e di comprendere le vere ed autentiche esigenze di un figlio.

Le ripercussioni di un simile atteggiamento genitoriale sui figli possono essere importanti, ma spesso vengono sottovalutate; anzi, accade spesso che nelle CTU si tuteli il genitore in difficoltà piuttosto che il minore, imputando, altrettanto spesso, al genitore “capace” la responsabilità di non favorire l’accesso a quello che presenta delle criticità.

In questi casi, i tempi ed i modi di frequentazione dovrebbero essere calibrati tenendo conto dei limiti del genitore che li manifesta, sempre ovviamente nel rispetto del mantenimento di un rapporto genitore-figli che va salvaguardato, ma non a scapito del minore e non a tutela di un adulto in difficoltà, né in nome di una legge che non deve essere sempre e comunque rigidamente applicata, qualora non ve ne siano tutti i presupposti, come del resto non lo è stata, per ben altri motivi, per tanti anni dalla sua emanazione.

Nel contempo, si assiste al fenomeno opposto che si manifesta quando un figlio si rifiuta di frequentare un genitore, adducendo motivazioni non sufficientemente supportate dalla realtà, a causa di un probabile condizionamento da parte del cosiddetto “genitore prevalente”.

Si tratta, anche in questo caso, di situazioni “al limite”, che possono sfociare in una vera e propria alienazione, in cui la volontà del figlio, sempre in nome di una sua tutela (o presunta tale) viene accolta in maniera acritica e determina un progressivo allontanamento del figlio dal genitore.

Ciò accade, purtroppo, sempre più di frequente, in quanto si concede al figlio il potere di decidere se, come e quando vedere il genitore “non gradito”; pertanto, in tali circostanze, talvolta vengono messi in atto progetti artificiosi che prevedono, fra gli altri, percorsi di “persuasione” del figlio in merito all’opportunità di frequentare il genitore, nel tentativo di “perdonarlo” per presunte e forse mai commesse mancanze e di recuperare una sua credibilità come genitore.

Il tutto, mentre i contatti genitore-figlio vengono interrotti o, quantomeno, molto diluiti.

Anche questa, a mio parere, rappresenta una finta tutela del minore che, in questo modo, rischia di essere sempre più privato della vicinanza della madre o del padre e che diventa protagonista ignaro di una sorta di teatro in cui la regia perde completamente di vista il suo benessere ed il suo equilibrio.

La responsabilità di questa regia, tenuta dagli operatori che si occupano di queste delicate situazioni, è quella di non essere in grado di discernere le situazioni di reale rischio da quelle in cui sussiste un pregiudizio, da parte di un genitore nei confronti dell’altro, come spesso accade all’interno di una conflittualità genitoriale molto grave.

La tutela del minore nel rispetto della salvaguardia di una sana bigenitorialità è, quindi, tutt’altro che scontata e rispettata e richiede un’attenta ed approfondita riflessione.

Bigenitorialità non è sinonimo di tutela del minore.

Il diritto dei figli di godere della presenza equa di padre e madre non è imprescindibile e può essere garantito solo da un adeguato espletamento della funzione genitoriale.

Se ciò non si verifica, occorre prendere le dovute misure, senza un’aprioristica adesione a protocolli generici e spesso tutt’altro che capaci di salvaguardare la salute dei minori.