Il collocamento alternato dei figli in regime di affidamento condiviso

Ne deriva che, in Italia, i figli trascorrono col genitore non collocatario il 17% del loro tempo, una percentuale, dunque, molto lontana dal 50% che dovrebbe essere rispettato, secondo la legge.

L’essere il cosiddetto “genitore di riferimento” fa sì che quest’ultimo si senta spesso quello che detiene la gestione del figlio, relegando l’altro ad un ruolo secondario, se non accessorio; il figlio, così, continua ad essere l’oggetto del contendere, sia affettivo che economico, ed il conflitto si autoalimenta, nutrendo solo le ambizioni di potere di padre e madre e privando il figlio della possibilità di avere due genitori di pari dignità, dei quali godere appieno.

Senza delegittimare le teorie degli psichiatri infantili e degli psicoanalisti che asseriscono che i bambini hanno necessità di una figura stabile di riferimento e di un luogo nel quale identificarsi (ma che non possono essere assunte a verità assolute, soprattutto nelle separazioni molto conflittuali), non si possono tuttavia ignorare gli studi che sono stati fatti negli Stati Uniti ed in Europa, che evidenziano la bontà del collocamento alternato e nei quali si rileva che i benefici della sua applicazione sono, per il figli, di gran lunga superiori agli svantaggi.

Un’ importante ricerca pubblicata nel 2002 da Bauserman, psichiatra del dipartimento governativo degli Stati Uniti, che analizza 33 studi nei quali confronta, a vari livelli, la custodia monogenitoriale con affidi paritetici o con regimi che prevedono un’ampia frequentazione del genitore non convivente, ha concluso che: 1) i bambini in custodia congiunta, sia fisica che legale, stanno meglio di quelli a custodia monogenitoriale ed in modo indipendente dalla loro età; 2) la presenza e la compartecipazione di padri non coabitanti è comunque associata a benefici comportamentali, emozionali, scolastici; 3) l’avere due case non rappresenta alcun rischio per i figli; 4) la custodia congiunta riduce i conflitti.

Un’altra autorevole ricerca, effettuata in Francia nel marzo 2002, dopo tre anni dall’introduzione della legge sull’affido condiviso, basata su prove scientifiche e studi psicologici ed il cui rapporto è stato redatto da Bruno Raschetti, per conto delle Associazioni di difesa dei diritti dei minori e dell’uguaglianza genitoriale, conclude che il collocamento paritetico: 1) permette al minore di mantenere una relazione con entrambi i genitori dopo la separazione; 2) il bambino si adatta molto bene ai due domicili, purchè si moduli il periodo di alternanza all’età ed alla maturità del figlio; 3) la residenza monogenitoriale porta a maggiori ritardi nello sviluppo, rispetto a quella bigenitoriale; 4) la presenza del padre nei primi anni di vita evita che vi siano ritardi nello sviluppo cognitivo, riduce l’ansia e facilita la socialità; 5) i minori di sesso maschile sentono molto di più delle femmine la mancanza del padre nei primi due anni di vita.

L’Italia è il Paese europeo con la minore percentuale di affidi in alternanza (meno dell’1%); la Svezia, che ha la maggiore percentuale, ne conta il 30%, la Francia circa il 17%.

Uno studio importante su 3000 ragazzini francesi di scuola secondaria, condotto da Pussin-Martin e ripreso dal Collegio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi Italiani nelle audizioni presso la Commissione Giustizia del Senato, attesta che i bambini che vivono con entrambi i genitori hanno maggiori livelli di autostima e si percepiscono più sicuri di se stessi, se paragonati con quelli che vivono con un solo genitore. Lo stesso Collegio Nazionale ha asserito che “nel bilancio della salute del figlio è per lui meno sacrificio perdere un po’ di tempo a frequentare due case che non perdere la possibilità di avere un riferimento in entrambi i genitori”.

In molti provvedimenti in cui si stabilisce l’affidamento condiviso, ma si ritiene inadatto, quando non nocivo per i figli, il collocamento alternato, si vede scritto spesso che il palleggio ping pong della prole è irrispettoso della dignità personale, in quanto il minore viene trattato alla stregua del proverbiale pacco postale; si parla di perdita di punti di riferimento stabili, di sdoppiamento; si legge di minorisottoposti a ripetute separazioni, di deportazione geografica, di choc da allontanamento, di sballottamento, di bambino tagliato a spicchi come un’arancia, di bambino nomade, di bambino con la valigia, di bambino costretto a veri e propri minitraslochi ogni pochi giorni.

Parrebbe, secondo la logica di questi provvedimenti, che l’andare presso il genitore non convivente un week end ogni due e qualche pomeriggio/sera infrasettimanale non rappresenti alcun sacrificio per il figlio, che va, quasi ospite, in una casa che, proprio perchè poco vissuta, difficilmente sentirà sua e che è comunque soggetto ai “minitraslochi” tanto demonizzati.

Da un punto di vista pratico, l’avere due abitazioni stabili, in cui tenere i propri oggetti e mantenere precisi riferimenti può essere sicuramente meno gravoso che non fare la valigia ogni volta.

Ma è soprattutto da un punto di vista psicologico che il collocamento paritetico potrebbe avere dei vantaggi; la vera scissione alla quale il figlio è costretto non è quella relativa ad avere due abitazioni, ma è quella alla quale è continuamente sottoposto nel dover scegliere fra un genitore primario ed uno secondario, fra quello prevalente e quello di minore importanza, in quanto il minor tempo trascorso con uno dei genitori corrisponde, purtroppo, all’attribuzione a questo di un minore valore, ad una ridotta incidenza nella propria vita, con tutto quello che consegue a livello di insorgenza di sensi di colpa e di conflitti di lealtà nei confronti del genitore non convivente, sentimenti coi quali il figlio deve fare continuamente i conti.

Questa è la vera fatica che questi figli devono fare, non, come ha asserito nel convegno scientifico organizzato dalla World Association for Infant Mental Health, il 4 ottobre 2013, la psicologa clinica Emmanuelle Bonneville-Bauchelle, quella necessaria per difendersi da ciò che loro impone la vita quotidiana e per preservare il loro sentimento di sicurezza nei casi di collocazione alternata, sicurezza che, a mio parere, è sicuramente più minata dal non sapere dove e come collocare dentro di sé un genitore evidentemente svilito e delegittimato del suo ruolo, che non dal vivere in due abitazioni.

Lo sbilanciamento dei ruoli insito nella minore frequentazione con uno dei due genitori comporta uno sbilanciamento anche nella crescita psicologica.

Entrambi i genitori hanno pari valenza nella formazione dello psichismo del figlio, con funzioni diverse, s’intende, ma di pari importanza.

L’assenza di uno dei due non può non avere ripercussioni sull’equilibrio emotivo-affettivo del minore.

Pertanto, se la collocazione paritetica non è sicuramente un dogma indiscutibile per tutti i minori figli di genitori separati, potrebbe essere la prima opzione da considerare, da modulare a seconda di ogni singola situazione e da scartare solamente di fronte a precisi e documentati motivi, alla stessa stregua di quello che avviene qualora si ravvisino dei pregiudizi per il minore, tali da preferire l’affido esclusivo a quello condiviso.

Certo che, se i minori non fossero contesi (davvero “palline da ping pong!) e nessuno dei due genitori si arrogasse maggiori diritti in quanto collocatario, pertanto ci potesse essere un accesso libero e congruo all’altro genitore, sarebbe preferibile una sola abitazione; ma poiché questo non accade, se non raramente, l’avere due case rappresenta davvero il male minore, quando offra ai figli la possibilità di crescere con la presenza equa e paritetica di entrambi i genitori.

Non si tratta di prendere le parti dei “poveri padri separati”, ma di difendere quelle dei “poveri figli dei genitori separati”, che vengono sì “tagliati a spicchi come un’arancia”, ma non da due domicili, bensì dai conflitti ai quali sono sottoposti dai loro genitori.

Vorrei sgombrare il campo da fraintendimenti ed evitare strumentalizzazioni di quanto da me asserito: il focus della mia attenzione e della mia sempre maggiore preoccupazione sono i minori, minori spesso sottratti ai loro padri e sempre più “ostaggi” di madri che hanno bisogno di possederli.

Questo purtroppo è indiscutibile, perchè è quello che accade quotidianamente.

Sono “povere” anche queste madri, che però, spesso, non hanno consapevolezza del male che fanno ai loro figli e che troppo frequentemente sono sostenute dai loro legali e dai loro consulenti nel portare avanti le loro sterili e pericolose battaglie, quando dovrebbero essere aiutate a superare le loro difficoltà.

Le stesse considerazioni varrebbero qualora, a comportarsi inadeguatamente, fossero i padri, ma questo in Italia succede raramente in quanto i figli sono collocati, nella stragrande maggioranza dei casi, presso la madre.

Non è, ovviamente, una questione di genere, pur non potendo negare che le dinamiche psicologiche che sottendono certi comportamenti sono molto diverse fra uomo e donna.

“Simpatizzare” con un genitore che si impoverisce, sia del denaro che degli affetti, dopo la separazione, non significa assolutamente prenderne sempre ed indiscutibilmente le parti; significa, al contrario, mettersi dalla parte di quei figli che diventano, loro malgrado,orfani di quel genitore (padre o madre che sia, s’intende) e che saranno costretti, durante la loro esistenza, a confrontarsi con un doloroso senso di mancanza e di indegnità che deriva loro dal sentirsi spesso responsabili dell’assenza di quel genitore.

Significa mettersi dalla parte dei minori in difficoltà, che saranno inesorabilmente adulti in difficoltà: significa fare davveroprevenzione.