“Sarò sempre tuo padre”: il dramma dei genitori separati.

Purtroppo, nella mia pratica professionale, mi trovo spesso di fronte a situazioni analoghe in cui genitori affettuosi e sempre presenti nella vita dei figli vengono piano piano, quasi inesorabilmente, prima messi da parte, poi del tutto estromessi dalla quotidianità di un rapporto ricco e gratificante e di fondamentale importanza per la crescita equilibrata dei figli.

A dispetto di una legge che affida congiuntamente i minori ad entrambi i genitori, la “collocazione” prevalente presso uno solo di loro (di solito la madre) spesso fa sì che il rapporto si sbilanci a favore di quest’ultimo. Ma la cosa assolutamente intollerabile è lo svilimento, l’annullamento, la perdita di dignità che il genitore non convivente deve subire, come genitore, ma anche come persona.

La realtà della fiction, purtroppo, è tutt’altro che fantasiosa; molti padri separati si impoveriscono a tal punto da non avere più una casa dove vivere perché costretti a versare assegni di mantenimento non più consoni ad uno stipendio che non regge ad un doppio affitto, a doppie spese di gestione dell’abitazione, a spese straordinarie spesso gonfiate ad arte; e questo quando il lavoro c’è e quando è possibile mantenerlo (la situazione del padre che “perde a tal punto” la testa da perdere anche il lavoro non è così remota).

Le riflessioni ulteriori che vorrei fare rispetto a quanto ho scritto nel mio precedente articolo riguardano il ruolo dei professionisti che ruotano attorno ad una separazione, professionisti che spesso hanno un ruolo cardine nel determinare le sorti degli attori in gioco, che più che attori appaiono marionette nelle mani di abili burattinai.

Gli avvocati ed i consulenti di parte gestiscono le sorti di chi si accinge ad una separazione, che giustamente si affida a professionisti “esperti” e “capaci” di fornire loro le indicazioni migliori.

Ma migliori per chi? Per l’avvocato che deve mostrarsi bravo vincendo a qualsiasi costo? Per il consulente che, se fa il gioco dell’avvocato, manterrà con lui una collaborazione professionale e potrà continuare ad avere incarichi?

Ma per i figli massacrati dalle contese degli adulti chi si occupa? Troppo spesso ci si dimentica che l’obiettivo unico ed imprescindibile deve essere la tutela dei minori, la loro salvaguardia a dispetto delle incomprensioni e dei risentimenti degli adulti.

Nella fiction il ruolo dell’abile avvocatessa è assolutamente centrale, tanto che la sua cliente si fa talmente condizionare da mettere in atto atteggiamenti da lei stessa non condivisi, né sentiti (di cui poi fortunatamente si pentirà), fino a diffidare il padre da avvicinarsi al figlio in quanto non rispettoso delle regole.

Ma quali regole? In regime di affido condiviso, il figlio ha diritto di godere di un tempo equamente diviso fra entrambi i genitori: perché la madre, che vive col figlio, ne ha la giurisdizione totale mentre il padre deve sottostare a regole rigide, può vedere il figlio solo in determinati momenti e, se non le rispetta, può essere punito fino alla diffida?

Sviliti e ridotti a meri esecutori di ordinanze del giudice, questi padri, come soldatini, devono eseguire ordini, pena la spada di Damocle dell’interruzione del rapporto col figlio, come se così fossero solo i padri ad essere puniti (e sicuramente lo sono), mentre sono soprattutto i figli ad essere deprivati della figura paterna.

L’iter che spesso si verifica è il seguente, secondo una sequenza che appare quasi ineluttabile: i padri, messi in secondo piano nella vita dei figli, cominciano a perdere stima e fiducia in sé, a sentirsi genitori di serie B; quando la loro disponibilità economica inesorabilmente si riduce, si vergognano di non poter più offrire ai figli un regalo, una distrazione, una vacanza, si sentono umiliati per doverli ospitare in luoghi poco accoglienti, in cui c’è solo l’essenziale e dove non c’è calore.

Tutto questo li porta ad essere, loro malgrado, inadempienti nei confronti dei loro figli, in quanto tendono a vederli meno, evitando situazioni pubbliche (nella fiction il bambino rimane profondamente deluso dal fatto che il padre non si presenta al suo compleanno alla quale la madre, per gentile concessione, “gli aveva permesso” di andare perché, sentendo voci gioiose fuori dalla porta, non regge alla frustrazione di non far più parte di quella famiglia; inoltre, si sente dolorosamente a disagio anche perché teme di fare una brutta figura offrendo al figlio solo un regalo da pochi euro comprato ad una bancarella, mentre tutti gli invitati entrano con enormi pacchi infiocchettati).

Perdendo valore (perché un genitore che deve chiedere all’altro se e quando può vedere suo figlio è un genitore che vale meno), un padre siffatto si auto-estromette dalla vita del figlio e per questo verrà accusato di disinteressarsene e di meritare il trattamento che gli viene riservato.

Quasi senza rendersene conto, questi genitori si trovano dentro una situazione, creata effettivamente anche da loro stessi, dalla quale non riescono più ad uscire, a meno che non abbiano la fortuna di incontrare nel loro cammino persone competenti ed umane.

Peccato che nemmeno i consulenti psicologi siano sempre dalla parte dei più deboli come dovrebbero. Nella fiction il bambino è palesemente sofferente per la mancanza del padre, tanto da comprendere la responsabilità della madre nell’allontanamento paterno ed esprimere nei suoi confronti molto risentimento; ma il consulente incaricato dalla solita abile avvocatessa, pur imputando, giustamente, la sofferenza del bambino alla delusione per quello che vive come un abbandono da parte del padre, non si oppone alla decisione, esclusivamente punitiva, dell’avvocato di allontanare definitivamente il padre dal figlio tramite una diffida e non inverte la rotta, facendosi complice nel non permettere a padre e figlio di ripristinare il loro rapporto fatto di complicità ed amore.

Questo era l’unico motivo per cui il bambino era così triste, la dolorosissima mancanza del suo papà che gli era stato portato via senza alcun motivo.

Basta l’irresponsabilità o l’incompetenza di chi è deputato ad affrontare questi problemi per devastare la vita di un bambino e quella del suo genitore.

Un avvocato sensibile ed attento ed un consulente competente ed autonomo dal pensiero e dalla volontà dell’avvocato avrebbero impedito la diffida del padre ed avrebbero subito attuato un programma di intensificazione dei rapporti fra il padre e suo figlio, evitando a tutti, ma soprattutto al bambino, un dolore che sicuramente si porterà dentro per tutta la vita.

Tutti noi che lavoriamo in questo delicatissimo ambito e che abbiamo in mano il futuro di migliaia di bambini di genitori separati, dovremmo riflettere molto di più su questa enorme responsabilità; dovremmo far capire ai nostri “clienti” belligeranti, o perché pieni di risentimento o perché manipolati da chi mal li consiglia, che la guerra non è rivolta verso l’altro coniuge, ma verso i loro figli che a parole dicono tanto di amare; dobbiamo farlo, anche rischiando che il nostro “cliente” ci abbandoni e ci preferisca qualcuno che ascolti di più le sue istanze.

Il ruolo del consulente di parte, nell’ambito di una CTU in cui le parti siano molto conflittuali, ha davvero un compito molto delicato, ma che può essere prezioso per il buon esito di una consulenza, consulenza che non è mai meramente valutativa, ma che può essere definita “trasformativa”, laddove rappresenti uno spazio in cui comprendere profondamente le reciproche motivazioni al mantenimento di un’alta conflittualità e le reciproche responsabilità nel far sì che la stessa si attenui, per la salvaguardia dei figli.

Lo stesso accade, ovviamente, quando ancora non si è giunti alle aule del tribunale; anzi, sarebbe auspicabile che le consulenze fossero così ben fatte da evitare le estenuanti battaglie legali dalle quali nessuno esce vincente ed in cui, qualsiasi cosa accada, i figli sono costretti a subire le conseguenze della irresponsabilità e dell’egocentrismo dei loro genitori e di chi ruota loro intorno.

 

Dr.ssa GLORIA MONTI

 

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