La depressione

Sul piano fisico compare un rallentamento dell’attività motoria, un’astenia associata a disturbi somatici vari e disturbi vegetativi, quali cefalea, algie varie, senso di soffocamento, tachicardia, dolori vertebrali.
La postura corporea è tipicamente ripiegata su se stessa, tanto che il soggetto appare curvo “sotto il peso della propria esistenza”.
Anche il viso presenta una mimica scarsamente mobile, fissa in un’espressione di tristezza; la voce è bassa e scarsamente modulata, talvolta lamentosa.
Il sonno è disturbato, l’attività sessuale risulta molto ridotta.
Il dolore morale si manifesta, dapprima con una penosa sensazione di autosvalutazione, che può evolvere in autoaccusa, autopunizione, senso di colpa “cosmico”, fino a condurre, ovviamente nei casi più gravi, il depresso al suicidio, spesso vissuto come forma catartica e, nel contempo, come l’attuazione massima dei propositi autodistruttivi presenti nella dinamica del depresso.

Secondo una lettura psicosomatica, sono le delusioni a farci cadere nella depressione; ostinandoci a far funzionare il cervello al di fuori del nostro modello naturale, indeboliamo le strutture cerebrali che assicurano serenità e spinta vitale.
Infatti, ciascuno di noi ha la tendenza ad usare binari nervosi preferenziali: si tratta di una sorta di “struttura prefabbricata” fatta di cellule nervose che ereditiamo dalla filogenesi e che completiamo poi soggettivamente, secondo uno stile personale.
Quando non rispettiamo questo modello interiore di funzionamento, cadiamo in uno stato depressivo.
Tradotto in linguaggio neurologico, significa che “stiamo forzando la mano” ad un percorso psico-chimico, che viene bloccato e costretto ad intraprendere un tragitto loro estraneo.
Quando accade tutto ciò? Ad esempio, quando abbiamo delusioni costanti, per cui le aspettative sono bloccate e non si reagisce più secondo il proprio stile naturale.
Così facendo, la serotonina diminuisce ogni giorno di più e, delusione dopo delusione, a livello biochimico si ha una vera e propria caduta, con modificazioni stabili delle trasmissioni cerebrali.
Questa “interpretazione psicosomatica” della depressione, che non rinnega affatto quella psicoanalitica, anzi va nella stessa direzione, è emblematica di quanto la sfera psichica interagisca con quella fisica, e viceversa, e di quanto l’approccio alla terapia debba essere necessariamente psicosomatico.

I malesseri fisiologici che si abbattono su chi è depresso sono paradossalmente tutti messaggi inviati dal corpo per farci capire che stiamo vivendo in un modo sbagliato. E’ il corpo con i suoi sintomi, dai più lievi ai più gravi, che ci offre una via di salvataggio perché sono proprio i disagi del corpo a farci capire che stiamo vivendo in modo sbagliato.
Così, ad esempio, il peso sul cuore rappresenta la pesantezza di vivere; i dolori muscolari impediscono di muoverci e di avere contatti col mondo; la cattiva digestione, spesso accompagnata da nausea, segnala la necessità di trovare nuovi “sapori”; la cefalea, il dolore che impedisce i pensieri e che ci spinge ad isolarci, rappresenta il bisogno impellente di staccare da un programma esistenziale dominato dal senso del dovere e da un’eccessiva razionalità.
Ogni sintomo include un messaggio, che va colto, compreso e che deve indirizzare il cambiamento indispensabile per uscire dalla depressione.
Si può affermare che “ogni organo ha la sua depressione” ed anche che l’evento depressivo sia alla base delle principali malattie psicosomatiche.

La “psicoterapia psicosomatica” che permette di comprendere emotivamente le motivazioni profonde delle proprie frustrazioni e delusioni e che cerca di inventare un nuovo modo di approcciarsi alla vita diventa un bellissimo “viaggio” in cui il paziente ricrea la sua esistenza secondo modalità fino ad ora inedite, ma affascinanti e foriere di un vero e duraturo cambiamento.